domenica 18 febbraio 2024

Frappe e Castagnoli: creators, pornwashing e libertà...


Per definizione non sono boomer né un millenial, faccio parte di quella generazione X che pur non essendo nativa digitale ha vissuto integralmente il passaggio dall'analogico al digitale cogliendo in modo abbastanza completo la rivoluzione internettiana. Nonostante (o proprio per) questo status, però, ammetto di aver sempre snobbato uno dei fenomeni più recenti che questa rivoluzione ha portato con sé: gli influencers da una parte ed i creators dall'altra. Avrei volentieri continuato a snobbarli se non fosse che durante una normale googlata alla ricerca di ricette per i dolci tipici di Carnevale una banale sostituzione di una vocale mi ha portato a conoscere tale Martina Castagnoli, detta anche Marti Twerk. A rapirmi è stato un titolo di un articolo apparso in mezzo ai risultati della mia ricerca: Martina Twerk: “Ho 20 anni e guadagno 20mila euro al mese” 
Nell'articolo la definiscono influencer e star di onlyfan, nasce con youtube nel 2017 e da lì, poi la rapida ascesa.. Sì, ma per dove?
Prima di arrivare al dove sia diretta è importante capire il punto di partenza e per farlo basta citare lei che parla di sé stessa:

Tutto è nato su Youtube, dove faccio video di twerk dal 2017, tra i tanti commenti alcuni mi chiamavano con il diminutivo di Marti Twerk, l’ho trovato divertente e così ho deciso di utilizzarlo proprio come nome d’arte, infatti su Instagram mi chiamo proprio Martitwerk_official.

Ok, artisticamente parlando nasce a 16 anni (è del 2001) twerkando , ovvero agitanto il suo sedere, su youtube.. 

E verso cosa si starà evolvendo? Direttamente dal suo sito..

Il mio carisma e la mia dedizione al lavoro e al successo sin da piccola mi hanno portato dove sono oggi. Ho cominciato da adolescente con YouTube dove mettevo video twerk/di ballo, da quel momento hanno cominciato ad avere successo e ho creato il mio logo Martitwerk. Quando sono diventata più grande ho creato la mia pagina Instagram, in cui mettevo foto abbastanza accattivanti, nel momento in cui arrivò OnlyFans in italia e così decisi di spostarmi in quella piattaforma e cominciare a guadagnare con le mie foto e i miei contenuti. Mi sono creata il mio personaggio e le cose andarono molto bene. Questo ha fatto di me ad oggi un imprenditrice totale di me stessa, da non voler mai smettere di sognare o di mollare.

Che letta così, di getto, tralasciando gli errori di ortografia e la sintassi un po' approssimativa vien quasi da pensare di trovarsi di fronte una novella Ferragni.

Poi, però, basta qualche passaggio sui profili social che le parole accattivante e contenuti assumono tutto un altro significato:

In un mondo in cui l'apparire conta più dell'essere, il politically correct ha imposto la sostituzione di molti termini un tempo di uso comune, anche le pornoattrici hanno cambiato nome. Ora sono creator, imprenditrici di loro stesse. O meglio, non tutte.
Soltanto le ragazzine avide di soldi facili e veloci lo fanno, perché porno attrice è un qualificatore pesante, un marchio che ti identificherà anche in futuro, come succede ad esempio ad una Selen, ritiratasi dalle scene hard da oltre 25 anni eppure ancora con addosso l'etichetta di attrice porno. Essere una creator, invece, è diverso.. Almeno nella loro testa.

A scandalizzarmi non è soltanto il tentato pornwashing, perché comprendo che non tutti hanno il coraggio di definire chiaramente sé stessi ed assumersi fino in fondo le responsabilità delle loro azioni, quanto tutto ciò che questa visione distorta della realtà si porta dietro e fin dove ci si vuol spingere pur di guadagnare.
Continuiamo a leggere, dalla sua biografia, qual è la sua mission, tralasciando gli aspetti commerciali per i quali basta una semplice e veloce ricerca avvalendosi di google lens per capirne il business model:

Questo sito non l'ho voluto fare solo per una categoria, l'ho voluto fare unisex, perchè voglio essere una fonte d'ispirazione per le ragazze che come me hanno un sogno nel cassetto e vogliono intraprendere la loro carriera da business woman, per farci forza l'una con l'altra e sostenerci. I miei prodotti sono pensati puramente per farvi sentire belle/i, con il tocco di glamour e piccantezza, come lo è la vostra Marti.

Questa è l'influenza cattiva e malata, un totale disprezzo per la propria reputazione ma anche per quella di altre ragazze che, illuse dal sogno di facili compensi, dovrebbero ispirarsi a lei per rovinarsi a vita. Perché se non hai il coraggio di definirti porno attrice, allora vuol dire che non sei consapevole di ciò che stai facendo alla te stessa del presente ma, soprattutto, alla te stessa futura.
Una delle caratteristiche uniche di internet ed in genere del digitale è, infatti, la capacità di persistere nel tempo, di ricordare anche con il passare dei decenni. Non è sufficiente cambiare il nome ad una cosa per cambiarne il significato.
Il mio non è ragionamento bigotto su una delle evoluzioni del mestiere più antico del mondo, bensì la forte paura per una generazione di ragazzi totalmente inconsapevole delle consueguenze delle proprie azioni, alienata, perduta in un mondo social che distorce la realtà ed un mezzo, il digitale, che abbatte quel senso di pudore e la chimica dello sguardo del mondo analogico.
Non hai più privacy, non hai oblio e quello che fai resterà scolpito nel marmo digitale per sempre. Non c'è possibilità di tornare indietro, non è una foto in pellicola che puoi bruciare o una ragazzata che si tramanderà solo nei ricordi degli amici.  E' una perpetua trasmissione in mondo visione con miliardi di potenziali fruitori. Il digitale amplificato da internet è persistenza, nel bene e nel male.
E se sei Filomena Mastromarino e scegli consapevolmente di cambiare la tua vita diventando attrice porno, allora questo difficilmente influirà negativamente sul tuo futuro, anzi, molto probabilmente proprio grazie ad internet raggiungerai quel livello di notorietà a cui le pornoattrici anni novanta potevano solo ambire, così come i guadagni. 
Ma se sei una ragazzina nata e cresciuta ritenendo lo streaming su internet un complemento della vita reale e dove ad essere finte sono le etichette ma non le performance, allora è chiaro che qualcosa nel processo educativo ed evolutivo è andato decisamente storto.  

Per questa ragione è fortemente necessario che chi appartiene alla generazione che ha conosciuto anche l'ultima era analogica si impegni profondamente, da genitori, amici o semplici divilgutaori ad educare i bambini, gli adolescenti ed i ragazzi di oggi alla privacy, al diritto di poter cambiare durante il percorso della loro vita, di sbagliare e di correggersi senza che il marchio dell'errore rimanga scolpito per sempre
E' un processo che deve cominciare fin da piccoli, spiegando la potenza del primo smartphone che avranno tra le mani. Sarà esso infatti il mezzo principale con cui dal mondo analogico entreranno nel mondo della persistenza digitale.
Un atto di bullismo, da condannare e prevenire a prescindere, senza smartphone nasce e finisce nel momento infame in cui si compie. Con uno smartphone e whatsapp si trasforma in una ferita difficile da rimarginare o, nella migliore delle ipotesi in una cicatrice quasi impossibile da camuffare che pesa nel presente e continuerà a pesare nel futuro.. E le cronache nere narrano di come questo peso non sia per tutti sostenibile (vedi Tiziana Cantone per la tragedia del revenge porn, oppure le statistiche sulle conseguenze del cyberbullismo)

Sono storie diverse, vero, ma per il mio modo di vedere hanno un comune denominatore: l'inconsapevolezza verso l'uso del mezzo digitale e ciò che persistere oltre l'attimo in cui si compie un'azione realmente significa. 

Educare alla privacy, educare al garantirsi la sacrosanta libertà di commettere una qualsivoglia azione limitandone lo scope al solo attimo ed al solo pubblico presente nel momento stesso in cui si compie. 

Sta a noi della Generazione X diffondere questo messaggio, facciamolo.

giovedì 8 dicembre 2022

Pagamenti elettronici Vs denaro contante

Tiene banco in questi giorni la diatriba mainstream circa il possibile innalzamento della soglia sotto la quale l'esercente può rifiutarsi di accettare pagamenti diversi dal contante che il Governo in carica vorrebbe portare da 30 a 60 euro. I vari giornali, più o meno schierati contro il Governo Meloni, stanno pubblicando una serie di articoli contro questa disposizione adducendo principalmente 2 argomenti: l'evasione fiscale ed i costi per gli esercenti che vengono ritenuti simili tra i pagamenti contanti e quelli elettronici (pos) .
A tirare la cordata di chi è contro questo provvedimento è il Fatto Quotidiano, palesemente schierato a prescindere contro l'attuale Governo che con un articolo dal titolo "Pos, quanto pesano davvero le commissioni? Le cifre sui pagamenti digitali (anche micro). “Usare le banconote non costa nulla? Non è vero”" tenta di smontare il mito delle commissioni usando come riferimento i dati dell'Osservatorio "Innovative Payments" del Politecnico di Milano snocciolati dal direttore Ivano Asaro. 

Non potendo avere accesso ai dati della ricerca, poiché il costo di abbonamento al servizio offerto dall'Osservatorio è di oltre 1000 euro l'anno, posso limitarmi ad analizzare il contenuto dell'articolo evidenziando quelli che secondo me sono i punti deboli o, per dirla in altra maniera, le forzature atte esclusivamente a mettere in cattiva luce il provvedimento governativo.

Partiamo innanzitutto inquadrando cosa è l'Osservatorio per gli Innovative Payments. Esso è un gruppo di ricerca del Politecnico di Milano che studia i sistemi innovativi di pagamento per i consumatori e i servizi aggiuntivi ad essi collegati, finanziato, però, da aziende che di sistemi di pagamento alternativi al contante fanno il loro core business. Come si può vedere dal sito dell'Osservatorio, ecco i chi sono i partner:

Un giornale sempre attento ai conflitti di interesse come il Fatto Quotidiano stranamente in questo caso non ne rileva alcuno.
Se non li rileva il Fatto, nonostante la mia malizia, assumerò anche io che non ci sia alcun interesse da parte dell'Osservatorio a fornire una lettura di parte e quindi continuerò ad analizzare il contenuto dell'articolo.

Esso cita una serie di iniziative delle banche volte a ridurre o azzerare temporaneamente i canoni mensili per il pos o le commissioni. (Intesa Sanpaolo, ad esempio, ha azzerato il canone mensile fino a fine 2022 e annullato le commissioni per le transazioni sotto i 15 euro per tutte le piccole medie imprese fino al termine del 2023. Il costo di attivazione fino a dicembre 2022 è stato abbassato da 200 a 60 euro [..]Unicredit, che ha azzerato le commissioni sotto i 10 euro – con scadenza al 31 dicembre – per tutte le imprese con un fatturato annuo al di sotto dei 5 milioni di euro. Nexi, invece, ha annullato le commissioni per tutti gli acquisti sotto i 10 euro con termine dicembre 2023. ) Questi esempi, uniti ad una rilevazione di Banca D'Italia circa i costi nascosti del contante servono al giornalista per affermare una cosa ben precisa: la differenza di costi tra il pos ed il contante è trascurabile per gli esercenti, o addirittura più favorevole il primo per le microtransazioni.
Ma quali sono i costi del contante che vengono riportati: il tempo di rendicontazione della cassa, il costo di trasporto, le assicurazioni che devono essere sottoscritte dai commercianti, il rischio di errore umano e i mancati resti sono alcuni esempi. Il costo medio del contante, secondo un report di Banca D'Italia, citato nell'articolo, e  denominato "il costo sociale degli strumenti di pagamento in Italia" è di 19 centesimi che, secondo l'articolo equivale ad un 1,1% dello scontrino medio. Nel report di Banca D'Italia, però, l'importo medio della transazione in contanti è 19,23 € che fa scendere l'incidenza di costo all'1%. (dati 2019).
Non essendo possibile ricavare un costo unico della transazione digitale, poiché ogni banca/sistema di pagamento applica le sue commissioni, l'articolo assume che la commissione media sia di 1,5%. 

Viene da sé che, pur assumendo che i dati dell'articolo siano corretti, per tutti quei pagamenti superiori ai 15 euro (ed in generale per tutti pagamenti alla fine delle varie promozioni delle banche) il costo del POS è di uno 0,5% superiore a quello del contante e, nell'ipotesi di innalzamento della soglia si traduce in 90 centesimi per una spesa di 60€ a fronte di 60 centesimi per il contante.

Ma i dati sui costi sono corretti?
Su questo nutro dei dubbi, poiché se a determinare i costi del contante sono quelli indiretti ed ipotetici, per il POS non vengono aggiunti i costi reali connessi alla singola operazione ma solo quelli legati alla commissione bancaria. 

Per il report di Banca d'Italia le principali componenti di costo del contante sono quelle legate alle
attività di “back office” quali, in particolare: la gestione dei rischi operativi e di sicurezza (frodi, furti e ammanchi), il tempo di lavoro necessario per la gestione manuale dello strumento presso le casse e il punto vendita, l’ammortamento e la manutenzione dei registratori di cassa. Una quota consistente di oneri (circa 1/4) è attribuibile al trasporto e allo “stoccaggio” dei valori. Non appaiono invece rilevanti gli oneri commissionali espliciti applicati dalle banche su questi due strumenti, in particolare per il contante, la cui incidenza rispetto al costo privato dell’esercente non eccede il 10 per cento.
Quindi, se in caso di grandi incassi in contanti, è ragionevole e quasi obbligatorio inserire i costi assicurativi sui furti così come quelli di trasporto, per tutti i piccoli esercenti di quartiere/paese, con volumi di affari giornalieri bassi e, magari, con estrema vicinanza verso gli istituti di credito per il deposito, questi costi sono del tutto incongruenti. Il panettiere sotto casa non ha un'assicurazione contro i furti/frodi, così come non necessita di un porta valori per trasportare i contanti in banca e quindi per i piccoli esercizi di vicinato il costo è decisamente inferiore ai 19 cent. stimati. 

Ma se per il contante si usano dei costi indiretti, poiché non si fa lo stesso anche per il POS?
Il direttore dell'Osservatorio ed il giornalista se ne saranno dimenticati.. Il POS, oltre alla commissione bancaria ha almento altre 4 voci di costo: l'energia elettrica per alimentare il device, la carta usata per stampare la duplice copia della transazione, il costo del collegamento remoto e quello di manutenzione del device. Costi indiretti anch'essi, probabilmente difficili da stimare, ma che esistono e si aggiungono a quelli delle commissioni.

Sul fronte della lotta all'evasione, invece, ritengo l'argomentazione del tutto strumentale, poiché pagare in contante non significa esimersi dal chiedere lo scontrino, qualora l'esercente non avesse provveduto ad emetterlo.  

 





 

lunedì 24 agosto 2020

1 mese al Refendum sul taglio dei parlamentari: finora vincono gli ignavi

 Il 20 e 21 Settembre (salvo sospensioni dell'ultim'ora legate all'emergenza COVID) si voterà in tutt'Italia per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. 

A distanza di qualche anno dal famoso referendum personale di Renzi sull'abolizione di un ramo del Parlamento, ecco un altro appuntamento fondamentale per la nostra Repubblica volto a ridurre la presenza in Parlamento di deputati e senatori nel nome dei risparmi e dell'efficienza. Nonostante la sua importanza e le sue ricadute sul sistema elettorale e la rappresentanza popolare, la linea preminente dei partiti più grandi è quella dell'ignavia. Sommessamente appoggiano il SI pur sapendo quanto questo non abbia un reale senso logico, ma anzi esso rappresenti la definitiva deriva del nostro parlamento verso le posizioni anti politiche proprie di un movimento, quello dei 5 Stelle, che si è poi rivelato come il più trasformista della storia della repubblica, capace di rinnegare sé stesso in soli 2 anni e mezzo di governo. 

Ma allora perché il fronte del no è  così povero di sostenitori forti? Semplice: per paura, codardia, viltà. Incosciamente tutti sanno che questa riforma è errata nei presupposti e pericolosa nelle finalità, ma ogni partito ha qualcosa di diverso da temere, seppur tutti uniti dallo stesso filo conduttore. 

Il filo che unisce le paure di tutti i più grandi partiti (maggioranza ed opposizione) è ovviamente la percezione che l'anti politica, l'odio per la casta ed i privilegi dei parlamentari sia predominante all'interno della società italiana, pertanto appoggiare apertamente il NO vorrebbe dire mettersi automaticamente addosso l'etichetta di difensore della casta, residuato della vecchia repubblica da scacciare definitivamente dal Parlamento. La paura di scottarsi pur in presenza di una riforma sbagliata è più forte della logica della argomentazioni che, pertanto, vengono taciute con una strategia chiara ed a tratti comune a tutti i partiti maggioritari: velatamente la linea del partito è per il Sì al taglio, mentre i singoli parlamentari o tacciono o si schierano per il no. 

Vediamoli in azione.

Forza Italia, con la sua capogruppo alla Camera Maria Stella Gelmini per avallare il taglio tira fuori la scusa dell'efficientamento della PA, concetto a suo dire sempre caro al partito berlusconiano, come se ridurre i paralmentari significasse automaticamente efficientare un meccanismo. Nulla di più errato, poiché, al di là del numero delle mani da alzare, esso rimane invariato.  Contro questa posizione, a smentire il discorso dell'efficientamento c'è anche Brunetta, padre nel 2008/2009 proprio di una riforma della PA volta al suo "efficientamento" che è apertamente schierato per il NO. 

La Lega in Parlamento ha votato per il taglio, d'altronde l'iter è iniziato proprio sotto il governicchio giallo-verde, quando entrambi i leader degli schieramenti facevano a gara a chi fosse più populista (nella peggior accezione del termine) ed anticasta quindi ufficialmente, così come ripeteva Salvini anche in Febbraio, la posizione leghista è per il Sì che, se vincente, delegittimerebbe il Parlamento in ottica voto anticipato. Se Salvini usa la scusa della coerenza in virtù dei voti sulla riforma espressi in parlamento, oggi una spallata al governo in ottica elezioni verrebbe solo con una chiara vittoria del no, che, di fatto, sconfesserebbe anche l'ultimo mito della retorica a 5 Stelle. 

Discorso analogo quello di Fratelli D'Italia, ufficialmente per il Sì nonostante alcuni suoi ex esponenti come Guido Crosetto siano decisamente critici al riguardo

Entrambi questi partiti, però, nonostante siano coscienti che accostare apertamente il voto referendario all'operato del Governo possa rappresentare, in caso di vittoria del NO, la goccia che farebbe traboccare il vaso, non vogliono rischiare di ritrovarsi l'arma puntata contro in caso di vittoria del Sì (che rimane al momento la più probabile), quindi piuttosto che rischiare, puntano tutto sulle Regionali e sul sentimento anti casta. Rimane l'opzione della propaganda nell'ombra, ma nell'epoca dei social è forse una mossa troppo azzardata.

 Se l'opposizione è bloccata tra la paura ed i calcoli per le amministrative, la maggioranza di Governo, ad eccezione dei 5 Stelle, di certo non ride e cala gli assi nascosti, come già successo all'epoca delle elezioni in Emilia Romagna. 

Il Partito Democratico è schiacciato fra le diverse anime, con Zingaretti schierato per il Ni o per il So, che vorrebbe evitare di spaccare il Partito che al suo interno ha tanti pesi massimi schierati ai vertici opposti (vedi Bonaccini & Ceccanti per il Sì, Gori, Cuperlo e Benifei per il NO) e contestualmente salvare il Governo evitando di azzerbinarsi ancor di più ai 5 Stelle. Così butta la palla in avanti, si nasconde sul referendum ma rilancia la necessità di approvare una legge elettorale che vorrebbe portare in Parlamento già entro il 20 Settembre . Fumo negli occhi, mentre entrano in campo i pedoni, ovvero le Sardine che si schierano apertamente per il NO. Non hanno paura di bruciarsi, perché in fondo lo sono già di per sé, carne da macello da sacrificare quando fare la sinistra rischia di essere troppo controproducente. 

Italia Viva, Azione e + Europa sembrano essere per il No, ma senza tropo entusiasmo, quasi di soppiatto. 

I 5 Stelle sono gli unici a non aver paura di schierarsi per una riforma che loro stessi hanno voluto e così è direttamente l'ex capo politico Di Maio ad essere in prima linea. C'è solo una variabile che penso dovrebbe preoccuparli: dopo tutte le giravolte fatte sanno di avere i giorni contati, perciò siamo proprio sicuri che a tutti loro convenga tagliarsi le probabilità di venire rieletti, magari riciclandosi in altre formazioni? 

 



 

domenica 8 marzo 2020

Sanità Regione Lazio: 8 anni di tagli

In questo periodo di emergenza Coronavirus vi è un tam tam di numeri e post sulla Sanità Nazionale e, nel mio caso, regionale. Ricompaiono articoli pre-inciucio del blog dei 5 stelle che accusavano Zingaretti di aver chiuso 16 ospedali e tagliato migliaia di posti letto (ma ora ci governano insieme n.d.r.) con conseguenti smentite dei siti di debunking quali Bufale.net, ritorna in auge anche il Senatore Paragone, dissidente e così via...

Così mi sono chiesto, ma quali sono i numeri della Sanità Regionale?

L'unica fonte certa su cui mi sono potuto basare è però aggiornata al 2018, ma visti i periodi non credo che nel 2019 le cose siano migliorate, quindi è ragionevole supporre che l'andamento di diminuzione sia confermato anche per lo scorso anno.


Nel primo grafico le serie mostrano l'andamento dei posti letto per degenza ordinaria, mentre l'altro il totale dei posti letto, compresi quelli per day hospital e day surgey.

Nel secondo grafico, il numero di strutture sanitarie che offrono quei posti letto, indipendentemene dalla tipologia di posto letto disponibile.