giovedì 27 settembre 2018

Perché i cittadini devono vendersi le collanine e lo Stato no?

Recentemente mi è capitato di imbattermi in un post del blog di Beppe Grillo dal titolo quanto mai illuminante: Vendo Oro!
Il post, a firma di un dottore in Scienze Politiche snocciola una serie di numeri relativi alle riserve auree mondiali, evidenziando come l'Italia sia la terza detentrice di oro in assoluto, dietro soltanto a Germania e Stati Uniti, ma distaccata da questi due rispettivamente di un migliaio e 6000  tonnellate circa. I dati provengono dal World Gold Council, perciò si suppone siano attendibili, se non fosse per la Russia che nell'articolo sembra povera, con sole 800 tn circa, ma che in realtà ne ha oltre 1900.
Ma non è la precisione dei dati che mi preoccupa, quanto il messaggio che il post veicola, ovvero la possibilità di vendere una percentuale variabile tra il 20 ed il 25% delle nostre riserve per controvalore  pari ad una 20ina di miliardi di euro eventualmente spalmabili su 5 anni  (20 mld anno) che fornirebbero un'extra liquidità senza andare ad intaccare i vincoli di bilancio. Come lo stesso autore dichiara, questa misura sarebbe un una tantum e ci consentirebbe comunque di mantenere un buon livello di riserve.
In linea teorica tutto fila, d'altronde ritrovarsi denaro da spendere extra bilancio a chi non farebbe gola?
Di problemi pratici, però, io ne vedo alcuni e su questi vorrei riflettere.

1) Immagine e credibilità
 Il titolo di questo mio post riflette l'ultima frase del dott. Gattozzi sul blog di Beppe Grillo ed è perfetto per illustrare la prima obiezione. Dato l'estremo proliferare dei negozietti "compro ORO" è lampante che alcuni italiani stiano vendendo le loro "catenine", molto probabilmente come estrema ratio per far fronte ad una situazione economica non più sostenibile. Ma se addirittura lo Stato arriva a compiere questo passo, l'immagine della Nazione tutta non ne può che uscire compromessa. Già me le vedo le copertine dei giornali europei con la povera Italia in fila davanti ad un "Compro Oro" qualunque, vestita da stracciona, a vendersi qualche lingotto pur di finanziare... già. Finanziare che cosa?
E qui veniamo al punto 2..

2) Cosa ci facciamo con gli ipotetici 5 miliardi annui (o 20 complessivi)?
Perché se è vero che la catenina dell'italiano può pagarti una vacanza spot, oppure, nei casi peggiori, le bollette del mese, cosa dovrebbe farci lo Stato Italiano? Ed è questa la domanda che mi preoccupa più di tutte e per un semplice motivo: non abbiamo problemi di pagamenti, non abbiamo problemi di liquidità nell'immediato, ma abbiamo almeno 4 grandi problemi strutturali: il debito pubblico, il costo del lavoro, la disoccupazione ed infrastrutture da ammodernare.
Nessuno di questi punti, però, può essere risolto definitivamente  con misure una tantum:
  • Debito pubblico: oltre 2000 miliardi di euro, oltre le 100 volte il presunto ricavato dalla vendita dell'oro: una goccia nel mare che un paio di turbolenze sui mercati, una volta che il QE sarà definitivamente concluso, possono azzerare in pochissimo tempo. 
  • Costo del lavoro - disoccupazione: gli incentivi sono sempre ben accetti dagli imprenditori, ma hanno il problema di "drogare" il mercato nel breve periodo e terminare i propri effetti sul medio lungo se non supportati da un'effettiva e stabile riduzione del costo del lavoro. Tanto per avere un esempio pratico e reale, un articolo del Fatto Quotidiano del 2017, alll'epoca della vecchia legge di Bilancio, stimava un esborso di 1.2 miliardi per sgravi assunzionali destinati ad una platea di circa 850.000 lavoratori, mentre simulazioni su un taglio stabile del costo del lavoro per tutti i lavoratori prevedono esborsi di circa 2.5 miliardi annui per ogni punto di riduzione.  
  • Infrastrutture: su questo punto sicuramente si potrebbero concludere opere di un certo rilievo, come ad esempio la Gronda, nuovo e controverso passante genovese la cui realizzazione è già pianificata da anni dal costo stimato fra 3.5 ed i 4.2 miliardi di euro. Dati gli estenuanti iter burocratici su opere di tale grandezza, è chiaro che ci si potrebbe basare solo su progetti il cui percorso di approvazione sia in uno stato già avanzato.Delle varie ipotesi, questa della spesa per infrastrutture è sicuramente quella che, a mio parere, potrebbe giustificare l'operazione, a patto che si scelgano attentamente le opere con le più ampie ricadute sui territori, cosa che, ad esempio, mi farebbe escludere il Ponte sullo Stretto (stimato in 8,3 miliardi) e propendere per un grande investimento pubblico sul cablaggio in fibra dell'intera penisola, da sub-affittare poi ad i vari operatori, oppure un grande piano di miglioramento delle ferrovie regionali. 
Se le infrastrutture potrebbero offrire un buon modo per spendere risorse una tantum, sempre ammesso che non ci siano intoppi progettuali e  non si verifichino i classici episodi di corruzione a far lievitare i costi, ma soprattutto non ci siano ostruzioni di istituzioni o cittadini, la mia grossa paura è che queste risorse, seppur ingenti, possano essere usate per interventi volti ad alimentare esclusivamente il consenso elettorale, come il bonus di 80 euro di Renzi che nel 2014 è costato alle casse dello Stato 5,9 miliardi generando un aumento dei consumi per soli 3,5.
Ed in un'epoca, questa, in cui è la fame di voti e di ampliamento della base elettorale a governare la politica e non la pianificazione, in cui si rischia l'impopolarità, ho il grande timore che risorse extra vincoli europei possano essere sperperate nel tamponare i buchi delle misure cardine della propaganda giallo-verde (reddito e quota 100), invece di essere investite.

Francamente, perciò, mi auguro che il suggerimento dell'ex capo del Movimento 5 Stelle resti inascoltato...

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