Cercando di massimizzare gli introiti evitando patrimoniali palesi, sia l'ex governo Berlusconi che l'attuale Monti hanno attinto alle risorse finanziarie possedute dagli italiani in modo diverso, ma ugualmente scellerato e rispettoso degli interessi dei grandi investitori.
Manovra Tremonti (estate 2011): venivano fissate delle aliquote di tassazione del conto titoli in base al valore del conto stesso considerando il valore nominale di ogni azione del portafoglio. A seconda dello scaglione di appartenenza si applicava una tariffa di pagamento progressivamente più elevata. L'ingiustizia palese era la progressiva diminuzione dell'incidenza della tassa al crescere del patrimonio, ma c'era un lato positivo nel fatto che venivano lasciati fuori dal conteggio i titoli di stato ed i conti deposito. Per quanto riguarda il mercato azionario, invece, essendo il valore nominale (generalmente) decisamente più basso del valore di mercato, la tassazione risultava piuttosto blanda per la maggior parte degli investitori, incidendo negativamente solo su quegli asset ormai spazzatura.
A dicembre il nuovo governo Monti ha deciso di intervenire aggiustando la manovra, denominata Salva Italia, in modo da raccogliere maggiori entrate, partorendo così una vera e propria patrimoniale in cui l'imposta di bollo è proporzionale al controvalore di mercato dei titoli posseduti. Il tributo è pari allo 0,10% di tale importo per l'anno 2012, mentre sarà elevata allo 0,15% a partire dal 2013 con un minimo di 34,20 euro ad un massimo di 1.200 euro. Soggetti a tassazione sono tutti gli strumenti finanziari, anche quelli che non si trovano materialmente in un dossier come, ad esempio, i fondi comuni di investimento e le polizze vita o, ancora, i buoni fruttiferi postali. Ad oggi non è chiaro come e quando venga calcolato il valore di mercato del dossier titoli.
Cercando di racimolare quanto più possibile, questo nuovo provvedimento ha alcuni tratti che lo rendono iniquo ed ingiusto in misura assolutamente peggiore rispetto a tutta la normativa precedente.
La cosa che salta subito all'occhio è l'imposizione di un tetto massimo al pagamento, andando a tutelare così i grandi investitori e non i piccoli medi risparmiatori.
Quella che più nascosta, ma, a mio modo di vedere, profondamente ingiusta, è l'applicazione di una tassazione basata sul semplice possesso di un bene anche all'ambito finanziario dove il suddetto bene è irreale e fluttuante fino al momento della vendita.
Facciamo subito un esempio prendendo a riferimento un titolo caro agli italiani nel mercato azionario data la sua stabilità e l'alto dividendo: ENI ha un valore nominale di 1 euro, mentre un valore di mercato fluttuante che ha spaziato, nell'ultimo anno, da un minimo di 12 euro ad un massimo 18. (negli anni passati il titolo ha toccato anche i 28 Euro per azione).
L'acquisto di un'azione diventa un rendimento solo ed esclusivamente al momento della vendita (non considero i dividendi perché non sono forniti da tutti), mentre in tutto il periodo in cui essi sono nel portafoglio risultano essere soltanto un qualcosa che ipoteticamente, nel caso di crescita, potrà generare un reale introito.
Applicare perciò una tassazione percentuale sul valore di mercato senza tener conto del valore di carico (ovvero del costo effettivamente pagato per quell'azione) significa far pagare indistintamente chi è in attivo e chi in passivo.
Prendendo sempre a riferimento il titolo dell'ENI oggi ha una quotazione intorno ai 17 euro per azione. Chi lo acquistato in estate lo avrà probabilmente pagato una cifra intorno ai 15 euro, chi, invece, lo ha nel dossier da qualche anno, lo avrà pagato sicuramente una cifra maggiore ai 19/20 euro.
Tutti e due quindi hanno un ipotetico ptrimonio attuale di 17 euro x azione, ma solo uno ha effettivamente un guadagno. Tutti e due, però, pagano allo stesso modo.
Come c'era da aspettarsi, quindi, non si tassa la speculazione, il lucro, ma esclusivamente il possesso indipendentemente se esso porti effettivi guadagni.
Il governo dei banchieri ha quindi garantito ai grandi investitori un tetto massimo di pagamento e una tassazione intatta sui guadagni generati dalla compravendita speculativa dei titoli.
Chi ci rimette in misura maggiore? Il piccolo medio investitore cassettista, ovvero, il pesce più piccolo della catena....
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