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lunedì 13 giugno 2011
Il referendum abrogativo: strumento popolare o specchietto per le allodole?
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La parola referendum riprende il gerundio latino del verbo refero, "riferisco" (nella frase ad referendum, "[chieder dei documenti, ecc.] per riferire"), e indica comunemente lo strumento attraverso cui il corpo elettorale viene consultato direttamente su temi specifici; esso è uno strumento di democrazia diretta, consente cioè agli elettori di fornire - senza intermediari - il proprio parere, o la propria decisione, su un tema oggetto di discussione
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Solo le tipologie contemplate dalla Costituzione italiana ammontano a quattro: il referendum abrogativo di leggi e atti aventi forza di legge (articolo 75), quello sulle leggi costituzionali e di revisione costituzionale (articolo 138), quello riguardante la fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove regioni (articolo 132 comma 1), quello riguardante il passaggio da una Regione ad un'altra di Province o Comuni (articolo 132 comma 2). Inoltre è previsto, all'articolo 123 comma 1, che gli statuti regionali regolino l'esercizio del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione.
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Il referendum è uno strumento di esercizio della sovranità popolare, sancita all'art. 1 della Costituzione della Repubblica Italiana.
L'esito referendario, espressione di questa sovranità, è una fonte del diritto primaria che vincola i legislatori al rispetto della volontà del popolo.
Forme e limiti di questa sovranità sono regolati dalla Costituzione dalle successive norme che stabiliscono le procedure referendarie e le materie che non sono sottoponibili a referendum
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Per l’intera normativa rimando direttamente a quanto riportato su wikipedia a questo indirizzo http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_in_Italia#Referendum_abrogativo_2, evitando così di dilungarmi in un noioso excursus (al quale non sono inoltre preparato), riportando invece soltanto i punti salienti.
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È indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. […] La legge determina le modalità di attuazione del referendum.
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Per un quarto di secolo sia la maggioranza democristiana che l'opposizione comunista non si interessarono a dare attuazione all'art. 75 della Costituzione. I partiti non soltanto non volevano rinunciare al controllo sulla legislazione, ma temevano che qualsiasi pronunciamento popolare mettesse in evidenza una loro mancanza di sintonia con l'elettorato.
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A parte la legislazione ordinaria, ci sono una serie di sentenze della corte di Cassazione che vanno ad inserirsi in questo contesto, ampliandolo e definendone con maggiore dettaglio le varie sfumature.
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Sentenze 1981
il limite delle "leggi collegate" a quelle espressamente indicate dalla Costituzione fu esteso ulteriormente, comprendendo nel caso di leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali anche le «norme per le quali non vi sia un margine di discrezionalità quanto alla loro esistenza e al loro contenuto, ma solo l'alternativa tra il dare esecuzione all'obbligo assunto sul piano internazionale e il violarlo, non emendando la norma e abrogandola dopo averla emanata
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Magistratura
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Sentenze 1990
Nel 1987 vinse il referendum promosso dal Partito Radicale, dal Partito Liberale Italiano e dal Partito Socialista Italiano, che abrogava gli articoli 55, 56 e 74 del Codice di procedura civile, che impedivano al magistrato di rispondere in sede civile dei suoi errori. Dopo quel risultato il 13 aprile del 1988 il Parlamento approvava la legge n.117, voluta dal ministro Guardasigilli Vassalli, titolata «Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati» che si allontanava dal principio della responsabilità personale del magistrato, per affermare quello, opposto, della responsabilità dello Stato. Con la nuova legge il cittadino che subiva un danno a causa di un atto doloso o gravemente colposo da parte di un magistrato, non poteva fare causa al magistrato stesso, ma doveva chiamare in giudizio lo Stato e chiedere ad esso il risarcimento del danno. Successivamente era lo Stato a chiamare a sua volta in giudizio il magistrato, se colpevole, e che, a quel punto, poteva rispondere in prima persona, entro il limite di un terzo di annualità dello stipendio. Il Tribunale di Napoli con ordinanza dell'8 novembre 1989 ed il Tribunale di Roma con ordinanza del 19 aprile 1990, sollevarono questione di legittimità costituzionale in merito ad alcuni articoli della nuova legge n. 117 che entravano in conflitto con gli esiti del referendum abrogativo.
La Corte Costituzionale con questa sentenza affermava il principio per cui il legislatore politico non può riprodurre una normativa abrogata da un referendum abrogativo, ma nei limiti di ripristino formale e sostanziale della disciplina abrogata può correggere, modificare ed integrare la disciplina residua (legittima era quindi anche la legge "Vassalli")
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Finanziamento pubblico ai partiti
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La Legge 659/1981 introduce le prime modifiche:
• i finanziamenti pubblici vengono raddoppiati;
• partiti e politici (eletti, candidati o aventi cariche di partito) hanno il divieto di ricevere finanziamenti dalla pubblica amministrazione, da enti pubblici o a partecipazione pubblica;
• viene introdotta una nuova forma di pubblicità dei bilanci: i partiti devono depositare un rendiconto finanziario annuale su entrate e uscite, per quanto non siano soggetti a controlli effettivi.
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Il referendum abrogativo promosso dai Radicali Italiani dell'aprile 1993 vede il 90,3% dei voti espressi a favore dell'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, nel clima di sfiducia che succede allo scandalo di Tangentopoli.
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<< [2] Reintroduzioni bipartisan
Nello stesso dicembre 1993 il Parlamento aggiorna (con la Legge 515/1993) la già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994. Per l'intera legislatura vengono erogati in unica soluzione 47 milioni di euro
[…]
La Legge 2/1997, intitolata “Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici”, reintroduce di fatto il finanziamento pubblico ai partiti.
La Legge 157/1999, dietro il titolo “Norme in materia di rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie” reintroduce un finanziamento pubblico completo per i partiti. Il rimborso elettorale previsto non ha infatti attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. La legge 157 prevede cinque fondi: per elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, Regionali, e per i referendum, erogati in rate annuali, per 193.713.000 euro in caso di legislatura politica completa
[…]
La normativa viene modificata dalla Legge 156/2002, “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali”, che trasforma in annuale il fondo e abbassa dal 4 all'1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale. L’ammontare da erogare, per Camera e Senato, nel caso di legislatura completa più che raddoppia, passando da 193.713.000 euro a 468.853.675 euro.
Infine, con la Legge 51/2006, l’erogazione è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. Con quest’ultima modifica l’aumento è esponenziale. Con la crisi politica italiana del 2008, i partiti iniziano a percepire il doppio dei fondi, giacché ricevono contemporaneamente le quote annuali relative alla XV e alla XVI Legislatura.
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Il divieto di riprodurre la disciplina è temporale, anche se in merito alla sua durata le tesi della dottrina sono contrastanti e non si riscontrano sentenze della Corte che possano sciogliere il dilemma
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Alla luce di quanto asserito sopra non certo da me, ma da stralci di documenti ufficiali l'unica conclusione plausibile è che il referendum abrogativo anziché essere strumento di democrazia partecipata risulta soltanto un ennesimo specchietto per le allodole, messo lì dal sistema partitico italiano post ’46 per controllare, strumentalizzare e fidelizzare le masse di elettori/fans.
Così fatto il referundum è monco, illusorio, strumentale; è finto e falso. Prevedendo soltanto la possibilità di abrogare una norma già scritta, di fatto si relega l’elettore allo status di suddito (qual è) con il potere di eliminare (apparentemente) ciò che sembra fargli più male (nel migliore dei casi). Non c’è possibilità infatti di mettere sul piatto della bilancia un’idea alternativa. In virtù di questo è un mezzo che si presta alla strumentalizzazione da parte di piccole caste in grado di minacciare, con soltanto 500.000 firme, il governo al potere.
Non essendoci vincoli temporali ben noti, ma soprattutto, non essendo un mezzo di decisione popolare su “concetti” o scelte politiche, è un’inutile spreco di denaro pubblico. Ne sono un esempio palese proprio i referendum abrogativi sulla Magistratura, in cui l’Italia aveva espressamente voluto la responsabilità civile dei magistrati, mentre la casta è riuscita a rimescolare le carte in tavola assicurandosi lo scudo spaziale statale. E quello sul finanziamento pubblico ai partiti dove si era espressa la volontà di elimanarlo a livello concettuale, mentre la politica, soltanto modificando le parole, ha radicalmente ignorato, salvaguardando se stessa.
Viene propagandato quindi come strumento di sovranità popolare, si usa per aizzare le masse, ma in virtù di quanto esposto è soltanto l’illusione che il sistema politico ha creato per renderci fedeli sudditi. Ti fa sentire chiamato in causa, ti abbaglia con la sua propaganda, ma di fatto ignora il tempo e i soldi dedicati, così come le volontà espresse.
Ora, perché farsi prendere in giro così?
Un esempio di un buon sistema referendario è quello della Repubblica di San Marino, sommarizzato qui
Fonti:
[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_in_Italia
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Finanziamento_pubblico_ai_partiti
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum
[4] http://www.governo.it/governo/costituzione/2_titolo1.html
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