Mai come in questi ultimi mesi la stampa internazionale ha discusso, ipotizzato ed argomentato sulle particolari vicende del nostro paese. Gli spunti per parlare dell’Italia sono stati parecchi: le esternazioni (12 maggio ’09) di Veronica Lario dopo il caso della ‘fu minorenne’ Noemi Letizia, il rinvio della puntata di Ballarò (15 settembre) in favore dello speciale Porta-a-Porta (inaugurazione delle case di Onna per 300 sfollati su 65mila), oltre che le piccanti rivelazioni della D’Addario (prostituta con il vizio del registratore, pagata per il piacere del Premier dall’amico in comune con D’Alema, tal Tarantini); la rottura Berlusconi-CEI (caso Boffo); la rottura Bossi/Berlusconi-Fini; gli imbarazzi internazionali circa la nostra partecipazione assieme al terrorista Abdelbaset al Megrahi (condannato per la strage di Lockerbie) al banchetto libico organizzato da Gheddafi in occasione delle celebrazioni del suo 40° ‘mandato’; i battibecchi del Premier con Barroso (nel frattempo riconfermato presidente della commissione europea sino al 2014); le denuncie sconsiderate a La Repubblica (oltre che all’Unità e a El Pais); il dibattito sulla libertà di informazione e il conseguente appello a contrastare ogni forma di attacco ai media lanciato dai tre giuristi Franco Cordero, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky tramite La Repubblica.
A parte, qualche tiepida e laconica dichiarazione sui temi di cui sopra della sempre più inetta e moribonda opposizione, la quasi totalità dei giornali (e delle TV), fino a qualche settimana orsono, hanno più o meno taciuto, oltre che su dette vicende, anche su quanto si pensa di noi oltre i confini nazionali. Solo un giornale ha denunciato ciò che stava accadendo e ha riportato le notizie dei media internazionali: La Repubblica del Gruppo De Benedetti. Quel Gruppo che, per voce del proprietario Carlo De Benedetti, ha negato di essere un 'partito di sinistra’, come il Premier lo ha tacciato in questi mesi, nonostante Carlo avesse partecipato nel 2002 all’assemblea per varare l’associazione ‘Libertà & Giustizia’ (libertaegiustizia.it) assieme a gran parte della borghesia, degli intellettuali e degli industriali di sinistra (il giornalista de La7 Gad Lerner, Umberto Eco, Enzo Biagi, l’avvocato Franzo Grande Stevens del clan Agnelli, il finanziere ed ex-diessino Guido Rossi, il professor Umberto Veronesi, il costituzionalista Galante Garrone, l’ex presidente RAI e direttore de Il Sole 24 Ore, l’ex direttore generale di Confindustria Innocenzo Cipolletta). Potrebbe sembrare una coincidenza, ma l’analogia con ‘Giustizia & Libertà’ (movimento politico fondato a Parigi nel 1929 da un gruppo di esuli antifascisti tra cui spiccò come leader Carlo Rosselli, teorico del ‘socialismo liberale’) sembra tutt’altro che un caso. Comunque, Libertà & Giustizia (si legge sul sito) ‘non è un partito politico’ bensì intende avvicinare la gente ai partiti e punta a ‘spronarli’ quindi, in un certo senso, è come dire che intende dialogare non solo con quelli del centrosinistra, ma anche con quelli di centrodestra. Ciò lo si capisce scorrendo le firme raccolte da Repubblica per sostenere l’appello del trio della giurisprudenza Cordero-Rodotà-Zagrebelsky sulla libertà di informazione (oltre 400mila firme raggiunte finora): a parte i pochissimi esponenti della sinistra italiana un po’ ruffiani (Dario Franceschini, Giovanna Melandri, Matteo Colaninno) e in alcuni casi ormai fuori da essa (Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati) nessun altro politico del PD ha raccolto l’appello dei tre giuristi. Continuando a leggere tra le firme si nota che oltre a stimatissime personalità dello spettacolo e della cultura italiana ed internazionale (finora ben 7 Premi Nobel) anche 16 direttori di importanti testate giornalistiche internazionali si sono esposti direttamente sostenendo l’appello con la loro firma. Di queste, solo 2 firme sono di direttori che lavorano in giornali di centrodestra (il Financial Times ed il Times di Murdoch). Il resto delle firme riguardano: 3 giornali di centrosinistra (Le Soir, El Pais, The Indipendnt); 3 giornali di centrosinistra liberale (The Guardian, Die Zeit, Le Nouvel Observateur); 2 giornali liberali (i russi Ogoniok e Novaja Gazeta di cui ricordiamo la giornalista Anna Politkovskaja assidua oppositrice di Putin ed uccisa ‘misteriosamente’); 1 giornale socialdemocratico (Periodico de Catalunya); 1 giornale liberale (Sueddeutsche Zeitung); 1 giornale social-liberale (Gazeta Wyborcza) ed infine 1 giornale di sinistra (Liberation). L’ultima firma, fuori dal coro dei media, riguarda l’organizzazione indipendente Reporters Sans Frontières a cui rinnoviamo la nostra stima. In sostanza, la gran parte dell’appoggio politico proviene dall’ala liberale di centro sinistra. D’altro canto, però, i colpi dalla stampa estera al presente governo - nella persona di Silvio Berlusconi - sono stati sferrati ad orologeria soprattutto da testate di destra (anche conservatrici) che non disdegnano l’ideologia capitalista del modello anglo-americano adesso in crisi. Basandoci infatti sulla nazionalità dei giornali e sul loro orientamento politico (fonte wikipedia) emerge che gli articoli esteri pubblicati da metà giugno a metà settembre sono 345 (in media 3 articoli al giorno). Tenendo conto solo delle testate più importanti e, tra queste, di quelle che hanno scritto almeno due articoli si giunge a 294 articoli la cui provenienza geografica è: 45% Regno Unito (Daily Telegraph, The Guardian, The Economist, The Financial Times, The Times, The Economist, The Indipendent, The Observer, BBC on line etc.), 22% Spagna (El Mundo di proprietà dell’italiana RCS, El Pais, El Comercio, La Nacion, El Periodico, ABC etc.), 11% Francia (Le Figaro, Le Monde, Liberation, L’Express etc.); 7% Stati Uniti (The New York Times, Woshington Post, The Wall Street Journal, The Time etc.); 5% Germania (Bild, Die Sueddeutsche Zeitung, Spiegel etc,), 1% Australia (The Australian, The Sidney Morning Herald), 8% resto del mondo. Di questi il 49% è da attribuire a testate di destra o centrodestra, il 33% a testate di sinistra (liberale, socialdemocratica), il 7% a giornali di centro (il restante 11% non è palesemente collocabile politicamente). Oltre a ciò è bene evidenziare che circa un quinto degli articoli (18%) proviene da quotidiani di proprietà di Murdoch (The Wall Street Journal, The Sun, The Times etc.), proprietario anche di SKY e principale oppositore/concorrente diretto del Premier, o meglio di Silvio Berlusconi in veste di imprenditore.
I dati esposti dimostrano, quindi, un’incongruenza di fondo che non è sottovalutabile ai fini della nostra analisi: perché su un 49% di giornali di destra, solo 2 hanno voluto partecipare all’appello?
Un'ipotesi potrebbe essere che l’unico scopo di determinati gruppi editoriali (e finanziari) sia quello di destabilizzare il nostro governo e forse non solo quello attuale. Repubblica dal canto suo, cavalca questa onda dandone una chiave di lettura più vicina ai propri scopi, manifestando appunto un improvviso interesse verso l’immagine dell’Italia all’estero. Interesse che, giusto per fare un esempio, non fu tale quando nel 2007 il giornalista del Daily Telegraph (che sulle attuali vicende ha speso ben 17 articoli che equivale al 6% del totale analizzati) Ambros-Evans Pritchard denunciò la “collaborazione” dell’ex Premier Romano Prodi con la banca d’affari statunitense Goldman Sachs. Ciò confermerebbe anche la volontà di detti gruppi di interesse di sponsorizzare un nuovo soggetto politico (magari il Grande Centro di Casini e Montezemolo) che si ponga (proprio come nelle intenzioni di Libertà & Giustizia) al centro della discussione rastrellando tutto ciò che è rastrellabile dai due opposti schieramenti a cominciare dai Finiani e dai Di Pietristi.
Lo scenario così composto risulta molto caotico, le chiavi di lettura differenti, i possibili risvolti tutt’altro che scontati. Se da un lato avremmo preferito che il dibattito politico sull’operato del governo e sulle vicende di Berlusconi si fosse svolto nella sua sede naturale ovvero in parlamento, di fronte ad un opposizione solida (che invece pare abbia preferito nascondersi dietro i gruppi editoriali per motivi di miope convenienza), dall’altro i passi falsi dell’attuale Premier ci mostrano come in realtà troppo spesso politica, informazione ed economia tendano ad andare d’accordo a discapito non solo della qualità dell’informazione ma anche dei comuni cittadini.
Andrea Rocca, Ruggeri Claudio
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