giovedì 6 agosto 2009

Lotta alla contraffazione: fra ipocrisia e finto made in Italy




Da qualche estate a questa parte si ripete incessante la campagna contro l'abusivismo e la contraffazione a protezione di griffe più o meno note.
Anche quest'anno il Ministero dello Sviluppo Economico, in alcuni casi a stretto contatto con i comuni (vedi Roma) sta tappezzando le città di squallidi manifesti per sensibilizzare i cittadini alla lotta contro il falso, inteso come prodotto non di marca.
Gli esperti di comunicazione coniano slogan e registi più o meno affermati contribuiscono alla realizzazione di spot ad alto impatto sempre con lo stesso scopo: invitare l'italiano medio a non comprare la borsa finto Prada, ma l'originale.
Un sito dal nome eloquente (http://www.noalfalso.it/) promosso dallo stesso Ministero è stato realizzato appositamente per raccogliere materiale a sostegno di queste tesi.

Tesi ipocrite, queste, che è ora di smascherare ed a cui è ora di ribellarsi promuovendo attività di sana protezione dei prodotti nostrani.

"Dietro una borsa falsa non c'è un grande stilista", con l'immagine di un bambino che cuce vuol veicolare il messaggio che falso = sfruttamento del lavoro minorile.
Ma i lavoratori di una marchio non "falso" chi sono?
Gli stessi bambini e gli adulti di nazioni "sottosviluppate", nella maggior parte dei casi.

La Nike, tanto per citarne una, negli anni è stata più volte accusata di sfruttare proprio il lavoro minorile e di pagare i suoi operai delle zone povere del mondo (Vietnam, ad esempio) meno di un paio di scarpe.
Prada e le altre griffe italiane/francesi di moda sono tuttora accusate di sfruttare i lavoratori delle fabbriche dell'est europeo, come chiaramente si evince in questi recenti articoli/denuncia sulla reale provenienza degli articoli di lusso:
http://www.cleanclothes.org/desa-more-talk-still-no-action
http://www.nove.firenze.it/vediarticolo.asp?id=a9.03.02.21.30

Il massimo dell'ipocrisia è però il messaggio veicolato direttamente dal sito del Ministero sotto la voce "Lo sapevi che ogni volta che compri un prodotto contraffatto.... " il cui testo in formato pdf può essere scaricato qui.

Ecco i punti salienti:

"
[...]
Produrre e diffondere merce contraffatta è un reato che provoca danni gravissimi all'intero sistema produttivo e conseguenze altrettanto negative sull'occupazione.
[...]
Inoltre, danneggia l'occupazione: da una parte può causare la riduzione dei posti di lavoro nelle imprese danneggiate e dall’altra sfrutta il lavoratore inserito nelle imprese del falso, privo di alcun diritto e tutela.
[...]
Senza contare poi il danno sociale connesso allo sfruttamento di soggetti deboli – soprattutto extracomunitari e disoccupati – impiegati nelle attività di produzione e distribuzione di
merci contraffatte cui la criminalità attinge al di fuori delle regole del rispetto umano Per questo“con la contraffazione perde tutta l'Italia”.
"

Ahahahha, veramente esilarante.
Perde tutta l'Italia?!?
Ma se la maggior parte dei grandi produttori italiani sfrutta manodopera estera, nei paesi in cui essa ha un costo veramente basso, coloro che danneggiano veramente l'economia, quindi, sono gli stessi marchi considerati veri!!

Nell'ottica del capitalismo più esasperato, della globalizzazione, dei mercati senza frontiere in cui la concorrenza sleale detta le regole, i prezzi e l'andamento dei consumi, anche il made in Italy è ridotto veramente all'osso. In parecchi casi le industrie italiane sono delle mere importatrici che si limitano a rietichettare un made in Bangladesh con il più consono e redditizio made in Italy, propinandolo ai poveri consumatori come un prodotto di qualità, realizzato con costi maggiori e quindi giustificando un prezzo di vendita elevato.
Altri invece sfruttano direttamente il lavoro sommerso nel nostro paese, alimentando per primi ad esempio le sartorie cinesi ed il circolo dell'immigrazione illegale.

Non è solo con le politiche anti contraffazione che si salvaguarda il prodotto italiano, ma controllando chi ha delocalizzato le proprie attività produttive, vincolando questi a non usare l'improprio cartellino Made in Italy, multando chi appone questa definizione a merce prodotta solo in minima parte nel nostro territorio, incentivando le industrie che realizzano al 100% i loro prodotti in stabilimenti italiani, promuovendo iniziative volte a far conoscere i veri fabbricanti italiani e soprattutto sponsorizzando una modifica del Codice Doganale Europeo (Regolamento CEE 2913/1992) che con l’articolo 24 legalizza di fatto queste pratiche ingannevoli.

“Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi e' originaria del paese in cui e' avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”.


A conclusione mi sembra doveroso offrire pubblicità all'Associazione Italy Made che si sforza (o sforzava) di ricercare e pubblicizzare le aziende che sfornano prodotti che siano almeno all'80% frutto di lavorazioni nel nostro territorio.



Risorse utili:
http://www.globalmarch.org/
http://www.cleanclothes.org/

1 commento:

  1. Per approfondire la tematica del made in Italy in chiave prettamente economica suggerisco la lettura di questo articolo di Eugenio Benetazzo:
    http://www.eugeniobenetazzo.com/teoria_economica_del_dodo.htm

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